LA MONACA DI MONZA: VITTIMA O CARNEFICE?

Rotary Bologna – martedì 5 dicembre, Circolo della Caccia, via Castiglione 25

Su documenti dell’epoca con un atto di accusa e un’arringa di difesa e dopo un dibattito
fra i soci, la Monaca di Monza sarà giudicata da un tribunale formato da sole donne
PROF. GIANCARLO CALETTI (accusa); PROF. GABRIELE BONAZZI (difesa);
DR. ROSARIA TRIZZINO (giudice); AVV. LAURA BECCA (giudice)

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Giancarlo Caletti: l’accusa

Racconto quanto scrisse a verbale Gerolamo Saraceno, Vicario criminale dell’arcidiocesi di Milano, incaricato dall’Arcivescovo Cardinal Federigo Borromeo di indagare sui tenebrosi eventi avvenuti fra il 1597 ed il 1608 nel Convento Santa Margherita in Monza.

La sua giurisdizione è valida per i soli religiosi, mentre eventuali colpevoli laici saranno giudicati dal Senato di Milano.

La narrazione si basa su testimonianze raccolte durante la lunga indagine. Queste sono conservate negli archivi siti nella Biblioteca Ambrosiana dell’Arcivescovado di Milano ed ancora lì giacenti.

Il personaggio cardine è Suor Virginia Maria de Leyva.

Nonno paterno: Don Luigi de Leyva, principe, primo governatore spagnolo di Milano.

Padre: Don Martino de Leyva (secondogenito), Conte. Signore di Monza (con diritto di “mero e misto imperio di alta e bassa giustizia” + concessione in usufrutto di immobili e terre e la facoltà di imporre e di riscuotere tasse, dazi e gabelle).
Militare in vari campi di battaglia, promosso “Gentiluomo di Bocca” del sovrano Filippo II° di Spagna.

Madre: Donna Virginia Marino, ricchissima (palazzo Marino a Milano), vedova da 1 anno del conte Ercole Pio di Savoia, signore di Sassuolo con 1 figlio minorenne Marco Pio di Savoia.

22 Dicembre 1574 Matrimonio dei genitori.

Dicembre 1575 Nasce Marianna de Leyva; madrina la marchesa Marianna Stampa -Soncino, sorella di Don Martino: gelida, autoritaria e bigotta (impose al figlio secondo genito di farsi carmelitano ed al marito una volta vedovo di farsi missionario in Marocco).

1576 Pestilenza a Milano; muore la madre.
Marianna ha meno di 1 anno. Padre è assente.

La zia diventa la tutrice. Marianna cresce sola, allevata da adulti mercenari e senza frequentazioni di coetanei.

1588 Don Martino si risposa con Anna Viquez de Moncada: avrà 3 maschi + 1 femmina.

1588 Muore la zia Marianna. Mariannina rimane sola a Milano.

1589 Don Martino torna a Milano e porta la figlia come conversa in convento. Lei, avendo solo 14 anni, può diventare monaca solo a 16 (disposizioni del Concilio di Trento). La dote di 6000 scudi milanesi (€300 mila).

Marianna entra volentieri in Convento, in quanto così frequenterà ragazze giovani finora mai frequentate.

12 Settembre 1591 Mariannina diventa monaca con il nome della madre Virginia Maria.
Superiora Suor Francesca Imbersaga.

Fino al 1599 contegno esemplare. È maestra delle Educande.

Come entra in scena Gian Paolo Osio?
Coetaneo di Mariannina, bellissimo, ricco borghese, scapestrato e violento (come il padre ed i fratelli). Conquistatore seriale di femmine di ogni censo e livello sociale. Con molte amicizie nella nobiltà.

Ha la casa di famiglia confinante con il convento di Santa Margherita.
Adesca le educande dal muro divisorio. In particolare, Isabella degli Hortensi, di nobile famiglia monzese, subito ritirata dalla famiglia e fatta rapidamente maritare!!

Suor Virginia lo rimprovera aspramente (1° colloquio), parlando dalla finestra della sua cella a oltre il muro.

Osio (poi reo confesso) in tutta risposta1 mese dopo assassina Giuseppe Molteno, che la frequentava regolarmente come Fiscale in Monza ed agente economico della suora. Molto probabilmente corteggiatore platonico della stessa.

Dopo alcune settimane, dalla finestra della cella di Suor Candida Colomba Trotti Brancolini, Virginia vede l’Osio nel suo giardino, il quale pure le rivolge la parola.

Sdegnata ed offesa dà gli ordini più energici, in qualità di feudataria, all’auditore Carlo Pirovano, di arrestare ad ogni costo l’assassino, chiuderlo in cella e trattarlo duramente.

Grazie alla famiglia e alle amicizie l’Osio non verrà processato.

Virginia è bellissima e l’Osio ne è invaghito.

Nella primavera del 1598, Suor Virginia si affaccia alla finestra della cella di Suor Candida.
Gian Paolo la vede e con l’aria più innocente del mondo le rivolge per la 2° volta la parola, ringraziandola del perdono e chiedendole il permesso di scriverle.

Comincia a frequentare la chiesa del convento per le funzioni.
Le invia lettere amorose all’inizio castissime, scritte dall’amico, Don Paolo Arrigone, parroco della chiesa di San Maurizio, adiacente il convento.
Prete lussurioso, lascivo e corrotto (1 concubina e amante anche di suore), certamente anche lui desideroso di concupire la bella monaca.

Suor Virginia, ogni giorno, non vista, spia Gian Paolo dalla finestra con tale estasi da non aver ritegno a bisbigliare a Suor Ottavia, mostrandole Gian Paolo in giardino “si potrebbe mai vedere la più bella cosa?”

1598, In giugno Suor Virginia acconsente che venga gettata all’Osio nel suo giardino la chiave del parlatorio per un convegno notturno con lui…..
Il colloquio avviene (testimoni) “la notte nel parlatorio, lei di dentro lui di fuori, con l’assistenza e la guardia delle suddette Suore Ottavia e Benedetta”.

Seguono altri incontri solo verbali.

La passione cresce in Suor Virginia e lei tenta di placarla con il crudele martirio del cilicio per qualche settimana

Ne informa il confessore Padre Battista che l’ha anche esorcizzata senza successo.

Addirittura, arriva ingoiare per tre sere le feci dell’Osio, in quanto era diceria che questo schifo avrebbe causato anche la repulsione sessuale verso l’individuo.

1598 settembre. L’Osio al termine di un colloquio ormai avvenuto fuori dal parlatorio, (senza più le grate protettive) la getta a terra e la violenta!
“Suor Ottavia e Suor Benedetta non mi diedero alcun aiuto, non so perché…”

1599 Elezioni capitolari: diventa superiora Suor Beatrice Castigliona, sua amica, che la nomina Superiora Vicaria (per 6 anni!!).
Suor Imbersaga viene retrocessa a portinaia.

Gli incontri così si moltiplicano.

Suor Virginia così dichiara al Vicario Criminale:
“…Dirò a V.S. che, con tutto ch’io facessi ogni sorta di orazioni e discipline fino al sangue per non avere a trattare più con l’Osio, pareva ch’io fossi portata dal diavolo, e cruciata totalmente al cuore da non poter stare dal non vederlo andare dov’esso era: di modo che, ricercata e supplicata da lui, son tornata a quella porta, e ho trattato con l’Osio avendo incontri carnali con lui più e più volte che non so dire quante…”

Suor Benedetta conferma nella sua testimonianza del 6 Dicembre 1607: “Cominciò poi l’Osio a venire dentro (travestito da monaca), chè se ben mi ricordo era d’inverno, non mi ricordo il tempo preciso, et dormire con Suor Virginia Maria nella sua camera in un letto, e Suor Ottavia ed io dormivamo in un altro letto nella medesima camera…”

È documentato da varie testimonianze che l’Osio avrà poi rapporti carnali anche con le altre suore!!!! Suor Virginia le vuole irretite e complici nella tresca anche al costo di condividere con le altre l’amante!!

Suor Imbersaga, fortemente sospettosa, trovando spesso al mattino la porta del convento con il catenaccio aperto, gli fa mettere una serratura.

Suor Virginia dà in terribili escandescenze con scene ripetute di vera e propria isteria.!!
Virginia, superiora Vicaria, trova il modo di farsi fare dal fabbro delle doppie chiavi e risolve il problema.

  1. 1599. Muoiono il padre Don Martino ed il fratellastro Marco Pio di Savoia.

Virginia è ora feudataria di Monza!! Carica che dovrà poi dividere a bienni alterni con la vedova del padre, Anna Viquez, in quanto tutrice dei 4 figli minorenni, anch’essi eredi.

Forte di questi poteri Suor Virginia continua i suoi amori pressoché indisturbati dal 1598 al 1607.Nessuna accusa o delazione partirà mai dal Convento di Santa Margherita, né direttamente né indirettamente.

Una notte nei primi mesi del 1602 la Signora dà alla luce, assistita delle suore amiche, Ottavia, Benedetta, e Silvia un “putto morto”.

Nulla trapela.

1603 novembre: nuova gravidanza.

La Signora cerca di abortire in tutti i modi, facendosi preparare dallo speziale del convento tale Rainerio Roncino degli intrugli, peraltro inefficaci.

1604, 8 Agosto, partorisce una bimba sana che sarà affidata all’Osio che la chiamerà Francesca e si dimostrerà essere padre tenerissimo e premuroso.

Suor Virginia esce perfino di nascosto dal monastero per recarsi in casa dell’Osio a vedere la figlia.

Muore la Superiora Suor Beatrice Castigliona e viene eletta Suor Bianca Homati, amica di Suor Virginia, che la conferma Superiora Vicaria.

Luglio 1606 si avvicinano le elezioni capitolari.
Suor Virginia tenta il colpo di farsi eleggere Superiora, per poter così controllare il Convento. Nulla deve trasparire.

Però la sua cameriera di fatica, Aimina della Cassina da Meda, nome da conversa Caterina, 23enne, di umili origini, belloccia, di pessimo carattere (sembra anch’essa corteggiata dall’Osio), ha un alterco con Suor Degnamerita Rivolta, amica della Signora.
Agli atti sembra che per dispetto abbia defecato (sic) sul letto di Suor Degnamerita.

Pertanto, la Signora, Vicaria, il 24 luglio decide di castigarla facendola imprigionare per i giorni della festa di Santa Marta (29 Luglio), durante la quale Monsignor Pietro Barca dell’Arcivescovado, vicario delle monache, avrebbe visitato il Convento e assistito alle nuove elezioni.

Caterina si ribella e viene trascinata a forza nella cella al piano terreno dal solito quartetto.
Durante il forzato arresto lancia pesanti improperi e dichiara di sapere ogni cosa sulla tresca in corso e che l’indomani avrebbe spiattellato tutto al Monsignore.

La notte fra il 28 ed il 29 luglio, 4 suore + Suor Virginia sono nella stanza prigione. Caterina è sul letto.
L’Osio arriva alle loro spalle non visto e mena alcuni colpi secchi alla testa di Caterina con la Bicocca di un arcolaio.
Caterina muore senza proferire verbo.
Il cadavere viene portato nel pollaio e nascosto sotto delle fascine di legna.

L’Osio ritorna nella prigione e crea un buco nel muro dietro la cappa del camino delle dimensioni di una donna, facendo comunicare la stanza con l’esterno.

Al mattino tutti pensarono che la conversa fosse riuscita a liberarsi e a fuggire chissà dove.

La notte seguente, l’Osio, aiutato da Suor Benedetta porta il cadavere in casa sua, lo decapita, smembra il tronco in tanti pezzi che seppellisce in giardino. La testa l’andrà a gettare in un pozzo dalle parti di Velate.

La mattina del 29 ci sono le elezioni:

Suor Angela Sacchi (portinaia) diventa Superiora e Vicaria è nominata Suor Francesca Imbersaga, ex superiora e nemica acerrima di Virginia.

Il crollo si avvicina.

1606 in dicembre, il fabbro Cesare Ferrari, che aveva contraffatto per l’Osio almeno 50 chiavi delle varie porte del chiostro, dichiara a qualcuno a voce alta di essere sicuro che” la Caterina non si è mai sognata di fuggire: ”ma è morta in convento e non di morte naturale.”

Queste voci vengono raccolte dallo speziale Roncino e arrivano all’orecchio dell’Osio.

Gian Paolo fa immediatamente pugnalare a morte il Ferrari da un suo bravo.

Anche Roncino ha la lingua lunga. Non si trattiene.
Racconta ai suoi clienti di aver fornito alcune speciali medicine a Suor Virginia e di aver visto qualche volta l’Osio entrare di soppiatto in convento di notte e di uscirne al mattino:
“cose incredibili avvengono in certi conventi, specialmente se confinanti con la casa di certi farabutti che si vantano di essere i ganzi di certe aristocratiche”.

Nel gennaio 1607 Osio tira un colpo di archibugio al Rainero Roncino, che però va a vuoto.

Con questo atto l’Osio ha superato ogni limite. Questi avvenimenti suscitano nella cittadina indignazione e allarme.

Così il Capitano della terra, certo Niguarda, decide di agire: raccoglie moltissimi indizi da formarsi la convinzione che qualcosa veramente esiste fra l’Osio e la feudataria.
Compila un’ampia relazione e la invia al governatore di Milano, il celebre Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte de Fuentes, che regge il ducato dal 1601.

Questo agisce con accortezza per non creare attriti con la chiesa, gelosissima dei suoi privilegi, e con la potentissima famiglia di Virginia.
Ordina al Niguarda di approfondire le indagini e sorvegliare i sospettati.

1607 Carnevale. Fiera delle Armi a Pavia.

L’Osio ci va; il Niguarda lo viene a sapere e avverte il governatore che lo fa subito arrestare e carcerare nel Castello di Pavia.

Il 5 Maggio 1607, dopo 5 mesi di carcere, l’Osio scrive una lunga lettera al Cardinale Borromeo. Chiede che intervenga perché gli spagnoli lo liberino in quanto è vittima di accusa infami, lui buon cattolico!!

Questa lettera invece di impietosire il Cardinale, ha effetto opposto.

A fine luglio 1607 il Borromeo organizza una visita pastorale a Monza.
Per non destare sospetti si reca dapprima in altri monasteri ed infine si presenta al Convento di Santa Margherita dove, dopo varie cerimonie, incontra privatamente la Signora.
Parla in generale dei doveri monacali e la ammonisce a seguirli.

I risultati sono scarsi, anzi la Signora si insospettisce.

Tornato a Milano, il Borromeo scrive una lettera molto generica al fratellastro della Signora, Don Luis de Leyva, pregandolo di dare disposizioni affinché venga innalzato il muro fra il convento e la casa dell’Osio…….

In settembre, dopo aver ricevuto ulteriori brutte notizie, però torna a Monza ed ha un secondo incontro più esplicito con la Signora.
Il cardinale è ancora misericordioso, limitandosi a “penitenziare” la suora, facendosi promettere di non incontrare più l’Osio e compiere ogni sforzo per redimersi con digiuni e preghiere.

Ottobre 1607. Osio riesce a fuggire dal carcere di Pavia, ritornando segretamente a Monza.

Non vedrà Suor Virginia, ma starà con lei in stretto rapporto epistolare.
Fra i due intercorrono notizie sulle dicerie dello speziale, per cui arrivano alla decisione di eliminare un testimone scomodo, forse ricattatore e fors’anche insistente ed ardito corteggiatore della Signora.

La sera tardi del 6 ottobre Suor Virginia ordina alla moglie del fattore del convento, Elisabetta Sarra, di andare dallo speziale e fargli riaprire il negozio per preparare urgentemente un’onza di diamaron per sgargarizzare”.
All’uscita la Sarra vede un bravo dell’Osio, tale Camillo detto il Rosso, intrufolarsi nella bottega dello speziale.
Sente un colpo di archibugio e poi lo vedrà fuggire.

Il Rainero è colpito gravemente e morirà dopo qualche ora.

Tutta Monza è in subbuglio. Anche le monache sono disperate.

La Signora appare poco addolorata e fa invece convocare in convento la figlia dello speziale, tale Isabella, e fra le condoglianze la informa che il mandante è il parroco di San Maurizio, Don Paolo Arrigone, a casa del quale un bravo dell’Osio aveva nascosto un’arma per implicarlo.

Gian Paolo si sente ormai braccato. Ripara per qualche giorno in una villa di campagna di un nobile amico, il Conte Lodovico Taverna, per poi entrare nottetempo nel convento e chiedere protezione a Suor Virginia.

Dal 1° al 14 novembre l’Osio vive nella cella di Virginia, passando anche in quella di Suor Benedetta e di Suor Ottavia, avendo nottetempo piaceri sessuali con tutte loro.

Il Governatore de Fuentes, informato degli eventi, è sbalordito dall’inerzia del Cardinale Borromeo, per cui arriva a scrivere al Papa Paolo V° (fatto di inaudita intromissione fra due poteri) di spingere il Cardinale a togliere la de Leyva dal convento di Santa Margherita.

Tutte le suore ormai sanno che l’Osio è nel convento e che viene ospitato e nutrito dalle suore Virginia, Benedetta ed Ottavia.
La superiora Suor Angela Sacchi avverte l’arciprete di Monza che a sua volta avvisa il Cardinale.

A questo punto il Borromeo ordina un’inchiesta severissima che durerà 4 giorni fra l’11 ed il 14 novembre.

L’incarico porta questa intestazione:”n.134 – In causa violationis clausurae deflorationis et homicidii monialis in Monasterio Sanctae Margarita e Modoetia, patratorum a JPaulo Osio – 1608”.

Il 15 mattina il Vicario criminale Gerolamo Saraceno giunge a Monza e notifica a Suor Virginia l’ordine di arresto e di trasferimento a Milano nel Monastero del Bocchetto delle benedettine.
Virginia reagisce violentemente, impugnando anche la spada dell’Osio, ma i birri la immobilizzano e sotto buona scorta viene tradotta in carrozza a Milano.

Al momento dell’arresto della Signora, l’Osio è nascosto in un anfratto della camera di Suor Benedetta. All’imbrunire egli fugge con una scala appoggiata al muro vicino alla cella e si nasconde prima nella chiesa dell’Arrigone e poi in una cascina in un bosco ad alcune miglia da Monza, certo che la sua abitazione fosse controllata dal Niguarda.

Tramite missive convince le suore Benedetta ed Ottavia a fuggire con lui nottetempo con l’intento, non di aiutarle a sfuggire la condanna, ma di eliminare due pesanti testimoni.

Suor Ottavia Ricci viene gettata nel Lambro e colpita con ripetute randellate al capo con l’impugnatura dell’archibugio.
Salvata miracolosamente, morirà pochi giorni dopo per le ferite riportate, ma riuscirà a testimoniare.

Suor Benedetta Homati è precipitata in una cisterna abbandonata, nei pressi di Velate per cui rimase gravemente offesa agli arti inferiori.

 

Ad Indagine conclusa i capi di imputazione a carico di Suor Virginia sono:

  1. Dal concorso in omicidio volontario della conversa Caterina Cassina da Meda.
  2. Dall’essersi prestata vergine, allo stuprum da parte dell’Osio.
  3. Dall’essere incorsa nel delitto di fornicatio con lo stesso per un lungo periodo di tempo, non solo ricevendo l’amante in convento, ma anche recandosi varie volte in casa sua.
  4. Dall’aggravante sacrilegium carnale, nella sua qualità di monaca.
  5. Di essersi sottoposta più volte a pratiche abortive.
  6. Dal sospettato concorso in omicidio volontario dello speziale di Monza Rainero Roncino.
  7. Dall’aver acconsentito a pratiche magiche, istigata dall’Osio e dall’Arrigone.

 

I capi di imputazione a carico di Gian Paolo Osio (processato dal tribunale civile sono):

  1. Omicidio volontario della conversa Caterina Cassina da Meda, in complicità con altre monache.
  2. Dall’aver attentato personalmente alla vita, mediante un colpo d’archibugio andato a vuoto, dello speziale di Monza Rainero Roncino.
  3. D’esser stato mandante in omicidio del fabbro Cesare Ferrari e del suddetto speziale Roncino.
  4. D’essere incorso in tre distinti reati di stuprum, fornicatio et sacrilegium carnale con Suor Virginia Maria de Leyva, monaca professa.
  5. Dall’aver provocato pratiche magiche, in concorso con Don Paolo Arrigone a danno di Suor Virginia.
  6. Dall’avere, a processo iniziato, e al fine di far scomparire due importanti testimoni a carico, indotto Suor Ottavia Ricci e Suor Benedetta Homati a fuggire nottetempo con lui dal Monastero di Santa Margherita in Monza, tentando poi di assassinarle.

I capi di imputazione a carico di Suor Benedetta Homati, Candida Brancolini e Silvia Casati sono:

  1. D’essere compartecipi e cooperatrici, non soltanto della tresca fra l’Osio e Suor Virginia, ma contribuendo a far entrare l’Osio in monastero mediante chiavi false.
  2. D’aver cooperato alle molte uscite notturne di Suor Virginia dal Monastero per recarsi in casa dell’Osio.
  3. D’essere state compartecipi e cooperatrici nell’uccisione di Caterina Cassina da Meda.

 

Per la sola Suor Benedetta (Ottavia è nel frattempo deceduta):

  • Del grave reato di essere fuggita dal monastero con l’Osio, pur essendo conscia della propria reità.

 

Per la sola Suor Candida:

  • Di aver intavolata una tresca inonesta con prete Paolo Arrigone, parroco di San Maurizio in Monza, diocesi di Milano e d’avergli scritto e ricevuto molte lettere d’amore.

Per Paolo Arrigone, parroco di San Maurizio in Monza, diocesi di Milano le imputazioni sono:

  1. Dall’aver favorita la tresca tra suor Virginia e l’Osio, corrispondendo alla richiesta di quest’ultimo sul modo di “meglio addentrarsi nelle grazie di detta monaca” e dall’aver falsata l’autorità di Sant’Agostino, assicurando non incorrere nella scomunica chi fosse penetrato nel monastero, trasmettendo a detta monaca a questo effetto anche un libro di casi di coscienza.
  2. Dall’aver battezzato calamite al fine di facilitare la suddetta tresca.
  3. Dall’esser stato causa principale ed immediata della tresca fra Suor Virginia e l’Osio, dell’omicidio di Caterina da Meda e della fuga delle due monache con l’Osio dal convento.
  4. D’aver richiesto suor Virginia d’amorosa corrispondenza, inviandole lettere e versi, provocandola con discorsi in parlatorio e tentato ogni via a questo perverso intento.
  5. Dall’aver per conto proprio, sin da quattro anni prima, iniziato una rea tresca con Suor Candida Colomba Brancolini, monaca professa in Santa Margherita di Monza.

La sentenza di condanna viene emanata il 18 Ottobre 1608, giudice estensore il Vicario Criminale Mamurio Lancillotti (da Spoleto).

Questo da poco ha sostituito il Saraceno, in quanto il Borromeo lo considera troppo malleabile dalla cittadinanza milanese e monzese (SIC!).

“….Suor Virginia Maria de Leyva, monaca professa del Monastero di Santa Margherita di Monza, nella Diocesi di Milano, soggetta alla giurisdizione di questa Curia, fu realmente ed effettivamente, non solo per assai testimonianze, ma altresì per proprie confessioni, dichiarata rea di  molti gravi, enormi, atrocissimi delitti, ben provati nel processo istituito contro di lei e le altre religiose sue complici; onde ella appare con ogni evidenza rea, colpevolissima e per ogni titolo punibile: e perciò la condanniamo………..alla pena e rispettivamente alla penitenza della perpetua prigionia nel Monastero di Santa Valeria in Milano; vale a dire che nel detto Monastero venga rinchiusa entro un piccolo carcere, la cui porta si abbia a serrare mediante muro formato di calce e sassi; di modo che la detta Virginia Maria quivi dimori finché avrà vita, così chiusa e murata di giorno come di notte, e sino al suo trapasso…………Nella parete del detto carcere si lascerà solo un piccolo pertugio attraverso il quale si possano trasmettere alla detta Suor Virginia Maria gli alimenti e le altre cose necessarie affinchè non abbia a morire di fame; nonché un altro buco o finestrella per cui possano giungere luce ed aria………
Intendiamo inoltre e prescriviamo che le entrate, pensioni, frutti, redditi o doti di qualsiasi specie, pertinenti a detta Suor Virginia Maria, si trovino devoluti a pro del Monastero di Santa Valeria di Milano, questo a titolo di alimento della prigioniera e finchè lei avrà vita….”.

Il 26 luglio 1609.
Le altre suore vengono condannate alla stessa pena, da scontare però nello stesso monastero.

La tetra cella di Suor Virginia è un luogo infetto e buio di 2,50m x1,50m dove la sventurata è costretta a subire, senza alcuna difesa i rigori dell’umido ed infetto inverno milanese, come il soffocante caldo estivo. Scarsa l’acqua per le abluzioni, nutrimento insufficiente e malsano, nessun abito di ricambio, nessuna coperta, soltanto un saccone in terra la cui paglia marcisce in due mesi e che viene cambiata ogni sei.
Il recipiente delle deiezioni veniva svuotato ogni quattro/cinque giorni.

Ci rimarranno però “solo” 13 anni.
Virginia Verrà liberata il 25 Settembre 1622.
Morirà il 17 Gennaio 1650 a 75anni.

24 Gennaio 1609. L’Arrigone viene condannato (soltanto) ad un biennio di remo sulle galere spagnole.

Gian Paolo Osio è fuggiasco nella bergamasca per circa 2 anni.
25 Febbraio 1608 Gian Paolo Osio viene condannato a morte:
Dovrà essere impiccato e squartato.

Viene emessa sopra di lui una cospicua taglia: 1000 scudi se consegnato vivo, 500 se morto.
Nel 1603 il Fuentes aveva messo la taglia di soli 100 scudi su Francesco Bernardino Visconti (l’Innominato!!)

Nell’inverno 1609-1610 l’Osio lascia la Serenissima e si rifugia a Milano nel palazzo dell’amico Lodovico Taverna in Borgo Monforte, sperando nel diritto di asilo ed una forte protezione. Il Taverna invece, lo convince a scendere in una cantina a fare baldoria e lì lo fa freddare con un colpo di clava alla nuca e poi decapitare.

La testa viene da lui consegnata al Fuentes sulla pubblica piazza e il Governatore la schiaccerà con lo stivale!

 


Gabriele Bonazzi.

UNA DIFESA DISPERATA? ALCUNE OSSERVAZIONI SU MARIANNA DI LEYVA

Signori della Corte, rispettabili giurati, gentilissimo pubblico,

la storia di suor Virginia di Leyva è una di quelle vicende che tutti sono pronti a esecrare e a respingere dalle proprie coscienze, malgrado i secoli ormai trascorsi, senza tuttavia censurare la curiosità per i dettagli indubbiamente e tristemente scabrosi, di fronte ai quali si levano moti di orrore, ma anche – confessiamolo – pensieri di malizioso e malcelato interesse.

Veniamo ai fatti. Una religiosa che cede al peccato della carne, intriga in mille modi per favorirlo, si serve di chiavi e manomette serrature per introdurre il suo amante e, quel che è peggio, si serve della complicità di alcune consorelle per abbandonarsi alla seduzione e goderne, non senza spavento e tormentosi pentimenti, quella religiosa è certamente degna del più attento interesse, moraleggiante a parole, curioso nei fatti dei particolari più imbarazzanti e privati, e, soprattutto, è meritevole della vostra scontata condanna. Non tanto diversamente dai suoi contemporanei, ancora oggi noi siamo pronti, se non proprio a giudizi inappellabili, almeno a un moto di aperta indignazione, anche se nel nostro intimo e in segreto saremmo forse disposti a nostra volta a cedere a quel piacere sacrilego (il peccato della carne, intendo). Lo fanno e continuano a farlo non pochi religiosi ancora oggi, e, magari con un gesto di sfida, vorremmo a nostra volta accoglierlo quel piacere, come dovuto a un diritto altrimenti soffocato nel corso di un’esistenza per molti versi inquieta se non fallita, quella che suor Virginia ebbe sicuramente in sorte. Ed ecco allora che la distanza che ci separa dal personaggio, lei così tragicamente sfrontata e noi giudici forse troppo duri, si accorcia, fino al punto da rendere la di Leyva una nostra sventurata sorella: la strada per la comprensione se non proprio per la totale assoluzione è così almeno indicata e ci mostra – questo non vi sfugga – la mostruosa solitudine dei colpevoli, tutt’altro che immaginaria, ben poco attenuata, meno che mai estinta. Solitudine che merita ascolto. E’ da qui che vogliamo iniziare.

Di nuovo i fatti: Virginia Maria, monaca per forza, appena sedicenne, a partire dal 1601, nel convento di Santa Margherita a Monza, viene in seguito sedotta da un certo Gian Paolo Osio grazie a uno spazio comune esistente tra l’abitazione di Osio e una piccola costruzione di proprietà del convento. Sedotta fino alle più estreme conseguenze: a una doppia maternità e a una sequela di complicità delittuose. Complicità, si noti, niente di più, grave ma non gravissima. Non vogliamo giustificarla troppo in fretta. Ma ci sembra giusto far notare che questa complicità fu inevitabilmente estorta, irrevocabile, proprio come irrevocabile fu la volontà del padre di lei a che fosse monaca. I suoi delitti sono gravi, ma grave fu la sua condizione di forzata alla vita monastica; incapace poi di opporsi al risvegliarsi dei sensi e alla intollerabile bellezza di Osio, sostenuta per di più dalle armi dell’inganno e dalla tentazione che morde. “Si è mai visto giovane più bello?”, confida Virginia a una consorella nelle prime settimane in cui Gian Paolo avanza i primi approcci aggrappato alla grata della finestrella che mette il convento a contatto col mondo di fuori, con quello spazio di vaga libertà cui Virginia non ha mai completamente rinunciato, spazio di un mondo appena intravisto, che ora provoca senza più remore il sovvertimento dei sensi, che nessuna penitenza, nessuna preghiera o giaculatoria è in grado di attenuare se non di annullare.

Osio è sfrontato e per niente disposto a contenere la sua scandalosa sfrontatezza. Il suo è un capriccio che va assecondato. Ha la pazienza del ragno che attende la sua vittima e la osserva mentre si divincola nel silenzio di una disperata solitudine.

Osio è certamente un giovane donnaiolo, abituato ad afferrare senza troppe difficoltà né scrupoli le sue prede, ad affermare con vanità e orgoglio le esigenze della sua persona, cui si deve rispetto, anche se si tratta di un capriccio senza importanza, di un’aperta prevaricazione, di una furia momentanea, contraria a qualsiasi convenienza o legge, perché per Osio ogni cosa deve piegarsi alla sua legge, senza scrupoli, e ora – è per lui un punto d’onore – sarà la volta di quella giovane religiosa che qualche volta arrossisce per la sfacciataggine dei suoi sguardi, e che invano ancora gli resiste.

Quella di Gian Paolo Osio, si diceva, è la pazienza del ragno. Dopo mesi di assedio, della sua vittima Osio conosce ogni movimento e lo prevede, e il margine di scelta a lei concesso è troppo ristretto perché la sventurata come la chiamerà Manzoni possa fuggire, se mai voglia fuggire. Perché un proposito così sensato – l’unico a essere tale – è ora diventato per la stessa Virginia un proposito quasi stravagante, e Osio lo sa. Fuggire? E perché? Perché non accettare di varcare la soglia di quel proibito? Proibito? E per chi?

Il gioco erotico, per iniziativa di Osio, si spinge verso un piacere ormai condiviso e forse desiderato dalla stessa vittima. E anche questo Osio lo sa. In uno dei suoi incontri, egli chiede sfacciatamente a Virginia di accettare un gioiello a forma di croce i cui contorni sono stati seguiti – dice – dalla punta della sua lingua. Perché non fare la stessa cosa chiede alla giovane donna, perché non unire la sua carne a quella di lui, che male ci sarebbe? Già, che male? E così ella cede. Il gioco erotico si è spinto fino all’imbarazzo e col gioco si chiudono le catene di suor Virginia.

Forse Marianna di Leyva sarà assolta da questo tribunale postumo. La tanto vituperata “monaca di Monza”, sottoposta ai triboli dello spirito e a quelli del corpo; lei che sopravviverà a una reclusione infernale per quattordici anni, forse, almeno in ispirito, ve ne sarà riconoscente; la vergogna e i mali passati potranno favorire la vostra indulgenza di oggi, se mai vorrete concederla. Lei ha scontato la sua pena, non senza un monito e un invito per noi tutti che veniamo dopo di lei: l’invito alla comprensione e al perdono; che in un paese civile, eppure atterrito dai cento delitti di oggi, assumerà forse l’aspetto di una necessaria comprensione. Comprensione per le creature di ogni epoca, sole davanti alla violenza dei  loro impulsi e ai loro delitti; ma anche inascoltate il più delle volte nella disperata richiesta di esser comprese, se non amate.

Condannatela pure per quello che ha fatto. Ma assolvetela nell’oggi come testimone atterrita della sua solitaria battaglia. Nella sua vita Marianna non trovò che il volto spietato della legge del mondo, che tacque tuttavia quando la vide maltrattata senza nessun appoggio come ancora oggi uomini violenti e donne che vagano da una disperazione all’altra, lo sono non lontano da noi: ladri, assassini, truffatori, puttane, infanticide, irregolari di tutte le condizioni, uomini e donne respinti e soprattutto invisibili alla nostra esistenza perbene.

Sacrificata a scelte inappellabili a favore del fratello; all’etichetta e all’insensibilità del padre che aveva come unico obbiettivo l’onorabilità e gli averi della famiglia; abbandonata poi dal padre rimasto vedovo che scelse, lei già monaca, non solo di risposarsi, ma di trasferirsi a Madrid ai servizi della corona, lontano dunque da lei che non ebbe mai più l’occasione di incontrarlo, la vita di Marianna fu dura. Un padre che dovette considerare la figlia come un seccante intralcio nel blasone famigliare. O un’opportunità da usare con scaltrezza. Poi viene il seduttore, deciso a ottenere con facilità quello che vuole e a cui non rinuncia. Un desiderio il suo, una scommessa con se stesso, un’avidità infantile che si tramuta in ossessione e in assedio fino alla resa della vittima. Sperò mai suor Virginia – anche solo per un istante – in un mutamento della sua vita, attraverso la seduzione di Osio? Si sentì mai sfiorata dall’illusione di essere libera? Se così fosse, perché condannarla?

Nel corso della storia, nemmeno troppo remota, l’essere donna non è mai stato un vantaggio. Per secoli le sono stati negati i diritti più elementari. Non può scegliersi il marito, sa a mala pena leggere e scrivere, ma il più delle volte – specie nelle famiglie più umili – è e resta analfabeta, vittima di convenzioni assurde, sottoposta alla violenza e al castigo dei maschi, giudicate esseri inferiori e per questo punibili per qualsiasi trasgressione, esistenti solo a fianco del marito, dei fratelli o del padre, relegate in una purezza innaturale o vituperate come le peggiori delle malvagie, destinate o al silenzio o al rogo. Solo a metà del secolo scorso essa ha avuto il riconoscimento al diritto di voto in Europa, mentre in molte culture orientali – ancora oggi – non ha nemmeno il diritto di parola o di mostrarsi, o magari stupirsi pubblicamente sapendo che un certo Moebius, tedesco, medico e fisiologo, ha pubblicato un saggio dal titolo, di per sé eloquente: Sulla inferiorità fisica e mentale della donna.

Ma torniamo a suor Virginia. Fin da adolescente deve dunque seguire i piani e l’autorità del padre. Per lei non ci sono progetti di vita come per tutte le altre: un marito, sia pure scelto o imposto dalla famiglia; gli agi dovuti al suo rango, feste, spensieratezze, viaggi in carrozza, servitù, figli rispettosi. A lei, Marianna, la famiglia lascia credere che la futura vita in convento sarà la più gratificante e lussuosa possibile. In quel chiostro, dove ha già conosciuto i rigori di un’educazione rigida e grigia, sarà per sempre la feudataria di Monza, la “signora”, autorevole oggetto di attenzioni, al riparo dalle insidie del mondo, un mondo in cui i diritti che contano, lo ha imparato in fretta, non sono né mai saranno i suoi. Forse la madre, Virginia Marino, influente e facoltosa di suo, avrebbe potuto opporsi a quella subdola reclusione famigliare, ma è morta quando Marianna era ancora bambina, sostituita da una zia ottusa e fanatica che non solo la educa su un esclusivo tono di grigio, ma si mostra palesemente d’accordo con i disegni del padre e li asseconda. Marianna non potrà mai dire “io penso”, “io voglio” o “non voglio”. Dubbi, angosce, timidezze le apriranno la porta della reclusione e si spalancherà per lei un inferno temibile e un altro ancora e poi quello che la vedrà al centro dello scandalo, del processo, della tortura e della condanna. Se dapprima la cultura del Seicento favoriva una rete di privilegi, prepotenze, soprusi e il rifiuto di una legge uguale per tutti, avallando delitti, difesa del buon nome della casata; prevaricando con le proprie leggi la legge comune e giusta, i progressi della ragione giuridica, successivamente, pur con mille difficoltà non ancora pienamente superate (restano ancora i privilegi e le ingiustizie clamorose), insieme alla coscienza civile hanno cominciato a bandire simili ingiustizie, anche se la delinquenza organizzata resta ancora oggi un potere dentro e contro la comunità e anche il familismo appare ancora oggi come una pratica di profonda ed evidente ingiustizia. E mi scuso per quella che può sembrare una divagazione.

Per la difesa del nome e del prestigio della casata, Marianna entra così nel convento di Santa Margherita a Monza e pronuncia quei voti che la faranno monaca per sempre. A parte la monotonia del convento, gli sconvolgenti episodi con Gian Paolo e i delitti cui fu costretta ad assistere, porteranno Marianna al castigo dell’essere “murata viva” nella casa delle ex-prostitute di Santa Valeria a Milano, non un convento, ma una casa a metà tra l’ospizio e la galera. Qui Marianna ha uno spazio che le consente appena di coricarsi; un pertugio da cui passa l’aria (e immaginiamo la calura dell’estate e il freddo dell’inverno); tenuta in vita senza nessuna vita, mentre attorno a lei fluisce la storia di un mondo che ignora e la ignora. Spade e bombarde duellano per la difesa della fede nelle pianure tedesche e sulle coste dei Paesi Bassi, lambite da un mare nebbioso. In quell’orribile bara che è la sua cella, non le giungerà parola, né voce, né conforto. Padrona dei suoi soli pensieri, ricorderà forse il suo seduttore, non per il peccato che le impose, ma per la vita perennemente appesa a un filo, mai totalmente sua, entrambi complici, entrambi vittime, ladri di felicità. Un poeta tedesco del Novecento a tutti ben noto, Bertolt Brecht, riferendosi alla difesa di una giovane infanticida, invoca per lei la comprensione e l’aiuto del prossimo, perché – scrive – “ogni creatura ha bisogno dell’aiuto degli altri.” E nel corso della detenzione, Marianna troverà nel Cardinale Federico Borromeo col quale intrattenne un lungo rapporto epistolare, un appoggio e – quel che più conta – un ascolto. Dopo quattordici anni di reclusione, ottenne da lui la libertà, pur scegliendo di rimanere a vivere nella stessa casa delle convertite di Santa Valeria (e cos’altro avrebbe potuto fare?). Di Alma Francesca, la bambina avuta da Osio ed allevata dalla madre di lui, non si seppe mai niente, né lei, Marianna, seppe mai niente, a parte qualche rara visita che la bambina le aveva fatto con l’aiuto di suore amiche, quando ancora durava la tresca (“la copriva di baci e di attenzioni”, scrivono le cronache del tempo).

Marianna morì nel 1650. Era nata al mondo nel 1575, lentamente scivolata nel buio della dimenticanza. Manzoni la ricorda con la dovuta pietà cristiana, non senza trascurare una severa condanna non tanto per lei, quanto per un’epoca scandalosamente prevaricatrice e oscurantista. Il suo messaggio è: considerate l’epoca in cui vivete, gli errori e le ingiustizie che vi son sembrati e vi sembrano del tutto normali. Rifiutateli. Ciò che è normale spesso è orrendo e, spesso, ciò che è giudicato orrendo è solo necessario. E chiamati a vostra volta a giudicare irregolari e colpevoli, superando la vostra rispettabile ripugnanza, considerate le circostanze che li vollero tali e, almeno, nella vostra coscienza, dubitate per poi assolverli con solidarietà di cuore e lungimiranza di mente.


La sentenza mai pronunciata….

(Tribunale del Rotary Bologna – Laura Becca e Rosaria Trizzino)

Nei confronti di Marianna De Leyva detta Suor Virginia, imputata dei seguenti delitti ai seguenti capi:

  1. di essersi prestata allo stuprum (rapporto sessuale illegittimo)
  2. del delitto di fornicatio con l’aggravante del sacrilegium carnale nella sua qualità di monaca
  3. di essersi sottoposta a pratiche abortive
  4. di aver acconsentito a pratiche magiche
  5. di concorso in omicidio volontario della conversa Caterina de Meda in concorso con Gian Paolo Osio
  6. di concorso nell’omicidio volontario dello speziale Rainero Soncino in concorso con Gian Paolo Osio

Il processo

Dagli atti del processo canonico e dai resoconti dell’epoca sembrerebbe comprovato che Suor Virginia sia stata complice/istigatrice dell’uccisione della conversa Caterina di Meda e dell’occultamento del suo cadavere; parimenti sarebbe anche stata complice dell’Osio nel delitto di omicidio volontario dello Speziale.

  • Secondo la difesa le sue azioni sarebbero giustificate dalla sua condizione di monaca “coatta”, dal suo bisogno interiore di essere ascoltata e compresa, dalla sua disperata solitudine di fronte all’Osio, che con la pazienza del ragno e con i suoi giochi erotici e magici, l’avrebbe in qualche modo soggiogata.
  • L’accusa, invece, ritiene che Marianna non abbia subito alcuna costrizione a farsi monaca o in ogni caso, se anche questo fosse accaduto, non avrebbe inciso sulle sue azioni, sulle scelte effettuate, tutte poste in essere in piena coscienza e volontà.

La decisione

A parere dei Giudici occorre distinguere le imputazioni “morali”, legate principalmente al suo status di Monaca, da quelle legate alla violazione del precetto penale, nella sua massima espressione, a quel tempo come ora, ossia la privazione della vita.

Questo Tribunale ritiene, tenuto conto del periodo storico in cui i fatti sono accaduti, che Suor Virginia non abbia prestato il suo deliberato consenso al monacato. Questa sua impossibilità ad agire liberamente può indubbiamente escludere la sua colpevolezza per quelli che sono i peccati, ossia per tutte quelle azioni contrarie alla legge morale e divina.

Dalla “giuria popolare” la Suor Virginia è stata ritenuta non colpevole.

Tale verdetto può essere condiviso in relazione alle violazioni morali addebitate, non può invece giungersi ad una pronuncia assolutoria in relazione ai delitti commessi.

Suor Virginia è responsabile certamente in concorso con Osio degli omicidi della quale è stata accusata. Benchè non abbia materialmente contribuito alla causazione delle morti, ha certamente sostenuto, forse anche istigato l’Osio nel suo intento criminoso, configurando così quel concorso “morale”, ritenuto dalla legge parificato alla condotta dell’esecutore materiale dei crimini.

Sussiste altresì l’elemento psicologico, ovvero la coscienza e volontà di contribuire a liberarsi di coloro che potevano costituire una minaccia al suo stato (di amante e di Signora).

L’imputabilità della Monaca non è in discussione: si tratta di imputata per fatti commessi nella maggiore età, in assenza di vizi di mente che possano far pensare alla mancanza della capacità di intendere e volere, percependo ella certamente il disvalore delle proprie azioni. Gli stati emotivi e passionali (dei quali era forse preda), non escludono per il nostro ordinamento la capacità di intendere e volere, a meno di non coincidere con una vera e propria patologia e non è questo il caso.

Nemmeno si ravvisano scriminanti, ossia cause di giustificazione che la manderebbero esente da pena: certamente non si trattò di legittima difesa, né di stato di necessità.

Il vissuto di Suor Gertrude ed i condizionamenti familiari e sociali propri del periodo storico in cui visse, in uno con la giovane età possono comunque giustificare una pena contenuta così come paiono concedibili le attenuanti generiche

PQM

il Tribunale del Rotary Bologna assolve Marianna De Leyva detta Suor Virginia per i fatti di cui ai capi A, B, C, e D,  e la condanna per i fatti delittuosi a lei ascritti ai capi E ed F.